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sabato 30 agosto 2008

Una notizia che attendevo da un pò

BELLUNO: NELL'AUTO PIENO DI METANO A CASA
La rete di distribuzioneIl Bim ha inaugurato il primo impianto della provincia installato nel piazzale della sede per promuovere uno speciale compressore in grado di erogare il gas anche nei garage. Nell'auto pieno di metano a casa con 9 euro.

Roccon: «Vogliamo incentivare energia pulita per autotrazione, la spesa è ammortizzabile con 20 mila chilometri.
Fare il pieno alla propria auto nel cortile di casa spendendo solo 9 euro, cioè quelli che oggi bastano per percorrere quasi 300 chilometri con un mezzo alimentato a metano.
Da oggi ciò è possibile anche nel Bellunese grazie a uno speciale compressore, prodotto in Canada dalla Honda, che Bim Gestione Servizi Pubblici sta sperimentando sul suo parco auto. Ieri, il presidente Franco Roccon, insieme al prefetto Provvidenza Delfina Raimondo e al consigliere regionale Dario Bond, ha inaugurato il primo impianto della provincia realizzato nel piazzale della sede del Bim in via Tiziano Vecellio. Il compressore -ha spiegato Roccon costa 4.000 euro. Una cifra che, dati i costi della benzina e del gasolio, si ammortizza dopo 20.000 chilometri. Noi non lo commercializziamo ma vogliamo dare l'esempio e incentivare l'uso del metano per autotrazione, più conveniente e più pulito degli altri carburanti, soprattutto in montagna, dove scarseggiano i distributori.

L'apparecchiatura è stata progettata anche per essere installata nei garage, però Haimo Staffler, presidente di Italian Microcompressor Import la ditta altoatesina che importa i compressori dal Canada- lo sconsiglia: Meglio se l'impianto viene posizionato all'esterno, non tanto per motivi legati alla sicurezza ma per questioni tecniche e burocratiche. Collocandolo all'esterno non c'è alcun problema. Staffler parla poi dei vantaggi economici per i cittadini. Con un auto di classe media dice- al distributore stradale per un pieno si spendono circa 9 euro e si percorrono circa 270 chilometri. Lo stesso pieno fatto in casa costa un po' meno, anche se bisogna tenere conto della spesa per l'acquisto del compressore. E' necessario quindi valutare quanti chilometri si percorrono in un anno. E' vero che il metano aumenta, ma la benzina cresce ancor più velocemente. Non ci sono costi di manutenzione da ammortizzare poiché il compressore funziona per almeno 8.000 ore senza necessità di interventi. Inoltre l'acquisto potrebbe non essere necessario: in alcune zone lo proporremo a noleggio con la fornitura del gas. Vedremo comunque con il Bim come muoverci sul fronte commerciale. Il presidente di Imi precisa che non si intende fare concorrenza agli impianti stradali, bensì integrare la rete del metano per auto coprendo quelle zone, soprattutto di montagna, dove mancano i distributori. L'investimento necessario per attivare un distributore per il metano costa 300.000 euro. A tale cifra vanno aggiungersi le notevoli difficoltà burocratiche che rallentano i tempi di realizzazione. Va da sé che in montagna, dove circolano pochissime auto alimentate a gas, sarebbe poco conveniente costruire distributori. Dando la possibilità alle aziende e ai privati di rifornirsi direttamente dalla rete del gas si risolvono tutti i problemi e si incentiva l'utilizzo di un carburante più conveniente e più ecologico.

Andrea Ciprian

Nota: (Fonte: Il gazzettino)

giovedì 21 agosto 2008

Ferrara Buskers


Appuntamento imperdibile per le strade di Ferrara dal 22 al 31 Agosto 2008.
Accorrete gente, arrivano gli artisti di strada per stupirvi.
Rompete il salvadanaio prima di uscire di casa e riempite le tasche di spiccioli per riempire cappelli rovesciati, custodie di strumenti, ma soprattutto date il vostro apprezzamento a girovaghi, musicisti, acrobati e maghi che vengono a rallegrare una calda settimana d'estate.
Una bellissima cornice da riempire con scatti da ricordare.

domenica 10 agosto 2008

Thabor

Il belvedere d'Europa: più di tremila metri d'altitudine per contemplare le cime di tre nazioni. Una decisione apparentamente affrettata da una vacanza di breve durata, in realtà anelata da almeno un paio d'anni. Tra il chiaccherio di una cena tra amici, qualcuno pronuncia il nome di un mito. Si scatena una piccola eccitazione: un'appassionata descrizione dei paesaggi e della fatica di chi ha già fatto questa piccola impresa, aumenta la volontà e favorisce l'adesione di altri commensali. Le previsioni del tempo non sono delle migliori, ma nessuno s' intimorisce più di tanto. Ci vorrebbe solo una piccola "benedizione": Sauro si avvicina al tavolo - Indovina dove vogliamo andare domani?- e lui risponde - al Thabor - e sorride. Decisi si parte: sveglia alle cinque del mattino, caffè, panini, frutta, borracce e cioccolata fondente preparati la sera prima; qualcuno ruba qualcosa di più dalla cucina: non si sa mai ed Elsa ancora dorme. Si riempiono gli zaini, si controlla l'attrezzatura e si spera di non dimenticare nulla, ma si fà anche attenzione a non caricarsi eccessivamente. Al buio saliamo sulle vetture diretti al rifugio "Re Magi", dove ci sono già alcune vetture in sosta. La meta, appena illuminata dalle prime luci dell'alba, ci attende in lontananza. Non sembra così difficile e nemmeno troppo alta, ma la montagna non è mai come appare. Ore 6.40: si parte tutti dietro a Giovanni che conosce i sentieri ed al primo cartello informativo ci fa notare che la destinazione è a solo a cinque ore e trenta di marcia. Sulla strada bianca proseguiamo diritto al bivio del Lago Verde, poi voltiamo per la strada mancina che sale in lieve pendenza. Il gruppo si dirada un poco, ma rimaniamo sempre a vista. Si ode il fruscio d'acqua di alcune cascatelle di un ruscello che ancora non si vede. Ammiro una vallata nuova, fiori aggregati in piccoli gruppi omogenei ed inzio a scattare foto. Rimango attardato, ma gli altri hanno visto la mia attrezatura e sanno che soffro del morbo del fotografo tradizionalista. Attraverso un ponticello di legno su un ruscello di acque limpide ed incrocio un uomo atletico e ben attrezzato, con un passo veloce benchè in discesa; lo saluto come è da tradizione in montagna e guardo l'ora per capire a che ora possa essere partito, ammirando la sua volontà. Il sentiero sale, un pendio in controluce esalta i colori dei fiori. Ai bordi di un nuovo ruscello il gruppo mi attende. Manca Giovanna che a Vito aveva poco prima confidato che sarebbe salita con il suo passo, anche se perderla di vista ci rammarica. Siamo circa ad un terzo del cammino e salendo, se il sole oppure la pioggia ti colpiscono, diventa dura perchè non ci sono grandi ripari ed in solitudine è anche peggio. Piccolo summit, poi si riparte. Subito ci ostacola una frana che ci costringe a scavalcarne i massi, un piccolo guado ed oltre un breve e stretto pendio si apre ad una valle spettacolare circondata dalle creste montagnose, le cui cime, proseguendo sul pratone in salita, sembrano sempre più vicine. Si ha quasi la sensazione di poterle toccare. Si sentono i versi delle marmotte allarmate dalla nostra presenza e provo a fotografarle con il teleobiettivo mentre Vito me le indica. Maledico alla sorte per due turisti che hanno deciso di accamparsi con una tenda rossa vicino ad un lago, le cui acque riflettono le cime montagnose soprastanti. Sicuramente molto romantico passarci la notte e la coppia esce anche dalla tenda per respirare l'aria fresca. Non posso attendere che "sbaracchino tende e burattini", per cui faccio solo uno scatto e spero al ritorno di non ritrovarli. Si risale e si avvicinano i ghiacciai. Armando mi offre un rinforzino al cacao che prima avevavo rifiutato temendo i miei soliti dolori addominali, ma ora accuso la fatica per cui l'accetto volentieri. Arriviamo insieme sotto l'ultimo strappetto. La nostra meta è sempre davanti a noi, con la chiesetta posta in cima ad attenderci. E' stata lì ad osservarci dall'inizio, mentre noi salivamo a testa bassa. - E' una strappo di solo una mezzora, quaranta minuti al massimo - ci aveva avvisato la sera prima Giovanni. Maurizio e Marco lamentano dolori ai polpacci, mentre Armando abituato a portare per le scale delle inferiate da montare alle finestre, riesce con brevi passi a tenere un'andatura costante ed indolore. Arrivo insieme ad Armando al primo ghiacciaio in pendenza da attraversare e decido di documentare l'avvenimento. Cerco un appoggio per la macchina fotografica, Armando si posiziona, faccio partire l'autoscatto e gli corro incontro. Scivolo a gambe all'aria proprio sul click dell'otturatore. Vito ci raggiunge che ancora ridiamo di gusto. Vediamo che sale anche Giovanni e ripartiamo. Armando è decisamente un spanna sopra a tutti, Vito mi accompagna per un pezzo e notiamo altri scalatori che salgano da un altro versante alla nostra sinistra. Rallento e sento le bachette di due ragazzoti francesi alle mie spalle che salgono quasi di corsa. Gli dò strada e ci scambiamo un saluto in francese; mentre li osservo mi apro la zip del maglione per non sudare e mi consola il fatto che hanno almeno ventanni in meno di me. Incroncio i primi sorridenti "discesisti" che questa volta saluto in italiano, concentrato nel mio passo ed assorto ad ascoltare le pulsazioni del mio cuore che aumentano anche a causa dell'altitudine. Mi aggrappo alle bachette, i dolori alle gambe mi fanno scivolare sul ghiaione, ma non cado e non mi arrendo. Prego e spero. Smetto di guardare in alto, tanto quando vado a sbattere sotto la croce di legno sarò certamente arrivato. La pendenza si attenua e credo di essere alla meta, ma mancano ancora venti metri. Mi affretto e sotto i pochi gradini del minuscolo sagrato mi sgancio lo zaino e lo lascio cadere a terra, poi mi stendo sfinito sul pavimento di cemento vicino all'inferiata. Ringrazio il cielo e Armando mi avvisa che non è finita, ma io gli rispondo di andarci lui che poi lo raggiungo, pensando ad uno scherzo. Finalmente apro gli occhi, mi drizzo sulla schiena e mi abbaglia lo spettacolo che mi ero lasciato alle spalle. Mi blocca il respiro e sento la mancanza di quelli rimasti indietro per condividere la meraviglia. Una ragazza francese, mi consenga la sua compatta digitale per fare una foto con le sue amiche coetanee. Senza pronunciare verbo, prendo la macchina fotografica ed arretro per cercare l'inquadratura mentre loro si posizionano abbracciate con la chiesa alle spalle. Faccio due scatti, come mio solito da "fotografo analogico". Mi ringraziano in italiano. Arriva Giovanni che lamenta anch'esso l'irrigidimento ai polpacci; le sue parole mi risvegliano dallo strodimento. Carico un'altro rullino nella Contax, cerco di fare veloce per non perdere la luce migliore, poi realizzo che la luce migliore sarà per sempre nei miei ricordi. In fondo al sentiero arrivano Maurizio e Marco. Un secondo prima non c'erano e la loro apparizione con le nuvole alle spalle mi rasserena ulteriormente. Inquadro il paesaggio e le sue forme, cerco dettagli con il teleobiettivo, innesco il grandangolare per cercare di inglobare più vette possibili, alzo e abbasso la macchina più volte: mi rendo conto che non riesco a rendere onore al mondo visto da lassù. Vorrei descrivere con i miei scatti quello che provo a stare sopra le nuvole, potersi perdere a contare le cime in un orrizzonte infinto. L'inquadratura fotografica mi limita nelle mie intenzioni, ci vorrebbe lo sguardo di un rapace. Nel frattempo le quattro ragazze francesi sono entrate in Chiesa e dopo una preghiera intonano un breve canto. Apprezzo la dote e lo spirito di quelle voci, anche se non comprendo il significato. Giro intorno alla chiesa lungo il sentiero sulla destra e mi rendo conto che Armando prima non scherzava, per cui decido di andare a vedere un'altra fetta di mondo. Un nutrito gruppo di persone sosta in una specie di piccola piazza circolare posta su una cresta. Da quel punto hai un'orrizzonte a 360 gradi. Provo vertigini ad essere così in alto, ma non ho assolutamente paura. Prendo la macchina e cerco particolari lontani con il tele. Come prima mi sento inadeguato e mi rammarico per non aver portato il cavalletto. Forse avrei fatto degli ottimi scatti , ma è impossibile chiudere il mondo in un foglio di carta 12X18. Non sono deluso e nemmeno mi sento fuori luogo, anzi sono orgoglioso di essere arrivato fin lì a fare parte della volontà di Dio. Faccio comunque degli scatti e ritorno alla chiesa dove i miei compagni mi attendono per fare delle foto tutti insieme, grazie all'assistenza di un cugino d'oltralpe che riconpensiamo con con un bicchiere di ottimo vino rosso. Dalla sua tipica mimica transalpina e dal tono delle sue parole capisco che apprezza l'ospitalità offertagli, poi passa il bicchiere ai suoi compagni di viaggio ed inizia uno scambio d'informazioni su distanze e tempi di marcia. Mangiamo e cogliamo l'occasione per scambiarci le impressioni. Ridiamo alle battute e recitiamo a memoria le imitazioni fatte a Viva Radio 2 da Fiorello e Baldini. Da quando ci siamo fermati cominciamo a essere sensibili alla nuova temperatura. Marco mi confida che il suo cardiologo si era raccomandato di non salire troppo ad alte quote, per cui aveva messo nello zaino le sue pillole salvavita. Non mi sembra comunque preoccupato, anzi dopo mangiato trova un gaciglio e entra a far parte del panorama che lo circonda. Io e Maurizio non resistiamo alla tentazione di fotografarlo. Osservo attentamente i volti delle persone che passano e sostano vicino alla chiesa. Rischio come mio solito di apparire maleducato. Purtroppo non resisto nel registrare i particolari più o meno interessanti dei volti delle persone, piuttosto che la gestualità, il tono della voce, l'andatura, la capigliatura oppure l'abbigliamento. Spesso vorrei fotografarli, ma non mi azzardo con gli sconosciuti per non urtare l'altrui sensibilità. Così li guardo e basta. Spesso questa mia attenzione ai particolari mi è stata utile per valutare situazioni al limite con il mio lavoro. In vent'anni di mestiere ho visto documenti consegnati con evidenti tremolii alle mani, occhi lucidi e sguardi vaganti al cielo; ho udito risposte indecise e contradditorie, accenni e sottintesi. Ho imparato a fare le giuste domande per ottenere le giuste risposte. Ma sono arrivato fino qui stanco più nella mente che nel fisico. Non ho grandi doti di mediatore e non sopporto la menzogna. Non voglio arrendermi, ma a volte sono costretto a mandare giù bocconi troppo amari. Allora mi guardo intorno e questo posto e questa compagnia mi tranquilizzano. Appena Marco si risveglia ripartiamo in discesa. Iniziano le comiche. Sono in coda al gruppo e vedo gli altri che si voltano a guardare una strana coppia. Lei in pantaloncini corti, reggiseno da mare, scarpe da tennis e zainetto, lui solo in custome da mare. Appena mi affiancano osservo che è pure scalzo e per osmosi le dita dei miei piedi si ritirano nello scarpone. Un ragazzino strabuzza gli occhi e ride, mentre Giovanni riesce a fotografare la coppia. Arriviamo al ghiacciaio ed Armando propone una strada alternativa. Grazie alle sue qualità di sciatore, riesce a scendere sugli scarponi da montagna senza cadere troppe volte. Maurizio lo segue, poi Vito che è il meno coperto dal freddo del gruppo. La mia presunzione mi spinge a seguirli pensando di potermi aiutare con le bachette. Invece sono il peggio di tutti, tanto che non riesco più a rialzarmi. Mi sono inzuppato i pantaloni e a breve saranno bagnate anche le mutande. Penso che quando salirò sulla Station Wagon di Maurizio gli battezzerò il sedile del passeggero per la gioia di sua moglie. Riesco finalmente a raggiungere il bordo del ghiacciaio ed a rimmettermi in piedi, dove sono già passati Giovanni e Marco che ancora ridono alle nostre spalle. La premura a scendere per evitare un possibile acquazzone mi fa perdere l'equilibrio, per fortuna senza danni. Eccoci nuovamente alla valle mozzafiato, facciamo una breve sosta e ci sediamo sul prato in discesa distanti l'uno dall'altro, ognuno assorto nelle proprie considerazioni. I turisti in tenda sulla riva del lago non ci sono, ma anche il riflesso delle cime sull'acqua non è più lo stesso. Fà niente. Un scatto e mi rilasso con nelle orecchie i versi delle marmotte. Non c'è un orrizzonte, ma particolari vicini e lontani, maestosi oppure microdimensionali da osservare. Pur senza alcun gesto d'intesa riprendiamo la marcia a ritroso, più che altro preoccupati per la pioggia che sembra sempre piuttosto incombente. La discesa potrebbe apparire meno faticosa, ma è solo un'illusione, perchè appena mi fermo le giunture ed i muscoli mi mandano allarmanti segnali. Va peggio a Maurizio che continua la sua andatura limitata da vecchi e nuovi dolori, fintanto che accetta una delle mie bachette per scendere. Giovanni e Vito ci aspettano ad un bivio per una sosta-merenda, proprio vicino ad un folto campo di adolescenti boy scout che sta raccogliendo i propri zaini per mettersi in marcia. Li apprezzo per la loro volontà di vivere in gruppo nella natura, senza tante lametele da ragazzi viziati. Mi rammarico anche di non essermi mai avvicinato a quella realtà, ma il tempo non torna indietro e riconosco di aver goduto comunque di un'adolescenza piuttosto felice. Finalmente siamo ritornati alla partenza e ne approfittiamo per una birra ai Re Magi. Intanto Giovanna ci ha atteso al parcheggio e sembra piuttosto affamata dei particolari ed impressioni sulla nostra gita. Il racconto è breve, anche perchè vorremo rientrare a Sant'Anna prima delle mogli e dei figli, per poterci godere almeno mezzora di riposo prima di essere presi d'assalto dalle domande. Il nostro intento va oltre ogni rosea previsione e le famiglie di rientro ci portano crostatine ed altre specialità da un piccola pasticceria di Nevache. Pensando di esserne l'unico beneficiario divoro i dolci nel sacchetto, ma vengo ripreso dalla delusione di Simona che intendeva spartirli con me. Mi scuso e sono abbastanza convicente, tanto che non mi tiene il muso. Suaro chiama tutti a raccolta per la messa. I bambini si accomodano sui cuscini vicino al piccolo altare, mentre gli adulti entrano in cappella. Osservo la vestizione semplice di Sauro e provo ammirazione per quella figura che per personalità, gesti ed opere si meriterebbe quantomeno di essere una voce di wikipedia. Sauro riesce attirare l'attenzione delle future leve del campo sull'origine biblica del nome Thabor e così descrive a modo suo la trasfigurazione di Gesù, celebrata ogni 6 Agosto. Oggi. Rifletto sulla coincidenza delle date e provo a ricordare se la sera prima qualcuno l'avesse accennata. Mi sforzo di rammentare a chi può essere dato il merito della prima proposta. Nulla. Sembra quasi un'iniziativa nata da per sè. Tutto ciò rende l'evento ancora più aggregante. Sauro chiede di partecipare alla funzione con una nostra impressione sulla giornata. Giovanni si rivolge ai bambini descrivendogli le similitudini tra il passo del vangelo e l'ambientazione nella quale ci trovavamo in cima al Thabor. Apprendo inoltre che le ragazze francesi avevano recitato il medesimo passo prima di dare sfoggio delle loro qualità canore in chiesa. Maurizio racconta della fatica condivisa con Marco e dell'aiuto reciproco con la pratica delle piccole soste: prima ogni cinque passi, poi ogni sette, poi dieci fino in cima. Attendo le altre opinioni prima di esprimermi. Rifletto poi mi decido. Per me è più facile rivolgermi a Sauro, in quanto non ho le qualità dell'oratore, ma è chiaro che le mie parole sono per tutti. Cerco di descrivere le sensazioni provate sopra le nuvole del cielo. Essere dentro al mondo, partecipe ad una volontatà superiore. Non avevo nè dubbi nè timori. In perfetta sintonia, soprattutto perchè non ero solo. Stavo veramente condividendo tutto con tutti. Mi sentivo in pace.