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giovedì 11 giugno 2009

Vigilia

E' difficile anche iniziarlo questo post. Sono troppe le sensazioni, l'umore che cambia. Scrivere di una vigilia attesa e temuta. Sento il peso di giornate riempite da azioni, pensieri, impegni e previsioni. Non è la prima volta che provo un'esperienza simile. Un'intervento di routine, tre o quattro giorni in ospedale con tecniche innovative e sicure. Ormai i tempi sono maturi. Il chirurgo mi è sembrato sicuro e preparato. Condiviamo anche la passione per la moto e ciò aiuta a dimezzare la mia tensione. Gli esami clinici sono terminati ed ho apprezzato la professionalità del personale infermieristico e medico, la puntualità e la disponibilità. Mi sono studiato attentamente il protocollo di accesso alla sala operatoria e ci ho scherzato pure. Mio padre e mia madre mi hanno dimostrato tutta la loro disponibilità e cerco di sfruttarla al meglio. Sia per dimostrargli riconoscenza che per riuscire ad ottenerne tutti i benefici personali. Un sostegno al coraggio. Ma l'attesa è l'attesa. Snervante. Mi ripeto che vorrei già essere al giorno dopo, anche al secondo dopo. L'anestesista è legalmente tenuto ad informarmi si ogni singola azione che viene compiuta sul mio corpo. Ascoltarla mi sembra masochistico, ma non le faccio una colpa, anzi mi dà sicurezza. Non ho voluto prendermi una pausa dal lavoro per non essere costretto a saggiare da vicino il tempo che passa. Dimostro finto disinteresse per coloro che mi raccontano di aver passato la medesima esperienza. Metto in ordine alcune cose della mia vita. Sistemo il garage, le piante nel terrazzo, lavo la moto con mio figlio, controllo l'attrezzatura fotografica. Faccio visita agli amici. Vado a scuola con i bambini a ritirare le pagelle. Mi riempio la mente di belle immagini, di odori e colori. Voglio dei pensiori belli: una morfina naturale alla tensione. Ciò nonostante mi sono visto più e più volte in quel corridoio, sul letto spinto dall'infermiere in camice verde. Pregare mi aiuta. Ho salutato i miei. Un bacio a Simona. Ho fatto gli esercizi di respirazione che mi hanno insegnato utilizando il più possibile il diaframma. Il tavolo operatorio è freddo ed anche l'aria condizionata non scherza. L'anestesista mi costringe a parlare per poter constatare quando mi addormento: gli rispondo che per farsi cancellare qualche multa ne riparliamo dopo, ma non riesco a finire la frase. Gli occhi si chiudono, buio. nulla. Una voce in camera che non riconosco mi risveglia, mi rassicura, poi dormo di nuovo. Fatto. Le "pillole del buon umore" mi vengono a trovare in camera. Mi alzo dal letto e usciamo in corridio fino alla sala di attesa. Di nuovo gli stessi odori, gli stessi colori, ma io sono diverso. Non solo nel fisico. Ho imparato dalla vita che non sono più sfortunato di colui che non ha mai avuto un malanno, di colui che non ha mai visto un ospedale, di colui che non ha mai provato sofferenza. In passato ho imprecato contro la mala sorte, un senso d'ingiustizia, una ribellione alla vita. Poi ho imparato. Almeno credo. Ho imparato che questa è la mia vita: fatta di gioie, ma anche di dolori, le une legate agli altri. Per quanto un uomo è tentato a fuggire dalle sofferenze, queste fanno parte non tanto del suo destino, ma ancor più della sua persona. E allora è necessario viverle per rinascere, per poter essere una persona nuova, diversa da quella di prima e possibilmente migliore. Ho imparato a vivere molto più dalle mie sofferenze, dai miei disagi e dalle mie sconfitte, che dalle mie vittorie. Così voglio vivere, affrontando la paura naturale del futuro, dell'imprevisto, senza mai fermarmi. Il resto non mi dato da conoscere, per mia fortuna. In televiosione il panorama è variopinto: Diane Keaton, Arnold Schwarzenegger, Michele Santoro, C.S.I., Zelig, Robin Williams e Robert de Niro. Vado a letto, domani è un giorno in meno.