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giovedì 2 aprile 2009

Vittime

Non sempre una giornata piovosa, con problemi a trovar parcheggio e pochi stimoli si dimostra così inutile. Incerto se considerare la mattinata un ritardo sui miei impegni oppure l'occasione da cogliere per concedermi una pausa dalla consetudine logorante. Una serie di lezioni-conferenze per un aggiornamento professionale, nonchè un'occasione per incontrare colleghi con i quali si è avuto il piacere di lavorare in altre realtà. Purtroppo quando l'audizione inizia ci si sente lontani dall'oratore, sia per una distanza culturale, cattedratica sin troppo aulica, sia per un latente e dilagante scettiscimo. Probabilmente l'argomento potrebbe essere presentato in modo più interessante. Non è colpa di nessuno, appare solo una buona volontà non espressa al meglio. Fortunatamente nella seconda parte dell'incontro, inizia un'attività interattiva che porta ad uno scambio di opinioni, di pareri tra le teorie para-universitarie e l'esperienza professionale degli operatori di polizia. L'argomento dei maltrattamenti in famiglia, con particolare interesse rivolto ai coinvolgimenti emotivi e psicologici tra vittima e reo, a prescindere dalle modalità del reato, riesce a convogliare maggiormente l'interesse dei presenti. Poichè non siamo dei meri accertatori dei fatti, atti a reprimere le conseguenze di un reato, senza alcun coivolgimento nei singoli episodi, ci troviamo a fare delle deduzioni e a volte ad intraprendere delle iniziative che vanno oltre le nostre specifiche competenze. Malgrado l'interessamento dei servizi sociali e degli enti preposti che intervengono gioco forza con tempi prolungati, l'operatore di polizia è il primo interlocutore per le vittime di questi reati e deve mettere in campo tutta la sua professionalità basata quasi esclusivamente su decenni di esperienza lavorativa. Da questo archivio, fatto di verbali, scambio di opinioni negli uffici o da semplici eventi raccontati in servizio, si evidenzia lo squilibrio, sia sul piano processuale e che su quello umano, che esite tra vittima e reo. Infatti, per quanto attiene l'argomento trattato, la vittima si trova il più delle volte senza una casa, senza denaro, senza assistenza e sostegno quantomeno morale, mentre il reo, oltre ad ottenere numerosi benifici dalla normativa penale vigente, si ritiene lil più delle volte legittimato nelle sue azioni in base ad un retaggio culturale che ormai va ben oltre gli stereotipi del sud d'Italia piuttosto che del sud Mondo. La violenza fisica o psicologica viene così ritenuta nell'ambito familiare l'altra faccia di moneta necessaria, un metodo coericitivo utile al compimento del previsto destino di una coppia, non permettendo uno scambio sereno di opinioni. Ma quando la vittima trova il coraggio di forzare questa situazione, subisce il disagio maggiore fatto di burocrazia ed orecchie incerte e non in grado di ascoltare. Infatti, ogni operatore agisce in coscienza influenzato anche dal proprio quotidiano familiare; benchè sia tenuto ad accertare una situazione di fatto, fa comunque delle valutazioni basate sulle recriminazioni tra le parti, sulle contraddizioni, sui gesti, sui modi di esprimersi, sulla constatazione oggettiva di eventuali lesioni, ma anche sulla propria esperienza. Ogni tentativo di portare nell'immediato ad un confronto pacifico, non lesivo della persona e della dignità altrui, risente di considerazioni non esplicite dell'uomo o della donna, del poliziotto o della poliziotta, del medico o dell'infermiera e così via. Il rischio è di un processo degenerativo della sensibilità, necessario per la sopravvivenza dell'operatore, ma a volte lesivo della dignità del richiedente. Un cinismo professionale da monitorare per valutare l'incidenza sia sul quotidiano che nella dimensione culturale della professione. L'intolleranza alle "sostanze tossiche" di una qualsiasi professione si manifesta in vari modi: delegando altre persone od altri enti, ricercando un capro espiatorio, la formazione di clan, perfino l'attesa del messia. Tutto ciò costituisce la differenza tra sopravvivere alla professione ed il vivere la professione, che si ripercuote anch'essa sulla vittima nella sua delusione e nella richiesta di aiuto. Finiscono in secondo piano quelle che sono le virtù dell'operatore che non riescie più ad utilizzare pienamente: i saperi tecnici ed operativi, il registro comunicativo, la capacità di lettura delle sitiuzioni di tipo intuitivo, ma anche emotivo, il carattere e la consapevolezza del proprio ruolo. Quello che si rende necessario è quindi un rivoluzione culturale, di fatto molto più potente ed efficace di qualsiasi rivoluzione politica e sociale. Gli ospedali, i Commissariati, le Caserme, le scuole e le città non sono più quelle di vent'anni fà, ma ciò non toglie che il rispetto, la dignità ed il senso del bene comune debbano essere considerati dei valori di serie B. Volontà, volontà, volontà.

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